Antipsichiatria. Un punto di vista

Il termine “antipsichiatria” è un termine ricco di ambiguità ma anche di opportunità.

Intanto va detto che è un termine orfano. Tutti coloro che lo hanno usato o sono stati indicati come esponenti di questo movimento di pensiero/azione, si sono infatti via via dissociati da esso.

L’ambiguità deriva probabilmente dal luogo comune che vede l’antipsichiatria come una sorta di un (più o meno articolato) rifiuto e resistenza alle pratiche psichiatriche, specie le più violente e apertamente repressive: un essere “contro” che mette insieme e confonde realtà e punti di vista molto diversi.

In realtà l’antipsichiatria non ha mai rappresentato solo una forma di “negazione” della logica e delle pratiche psichiatriche, ma è stata ed è una forma di “affermazione” della verità, del senso e della dignità delle esperienze non ordinarie (o non condivise) che la psichiatria definisce e tratta come “malattia”, “disagio” o “sofferenza”.

Ciò non significa che l’antipsichiatria miri ad elaborare nuove teorie esplicative (e quindi “terapie” alternative) per definire e trattare queste esperienze extra-ordinarie, ma opera per creare le condizioni affinché le persone possano riappropriarsi a livello individuale e collettivo delle stesse come forma di conoscenza di se e del mondo e come opportunità e possibilità umane.

In questo senso non esiste, né può esistere  una spiegazione o un trattamento “antipsichiatrico”  della follia. Le esperienze antipsichiatriche, o comunque critiche dell’approccio psichiatrico, che negli anni hanno scelto la strada di farsi “metodo” sono state di fatto recuperate e annullate nell’ambito del sistema dell’offerta psichiatrica, perdendo ogni valenza rivoluzionaria e il senso di se.

La critica alla psichiatria si è mossa (e si muove) quasi sempre per contrastare gli epifenomeni violenti che la contraddistinguono, lasciando immutate le ragioni del consenso e della delega sociale di cui gode.

Immutata rimane l’idea che la persona soffra di un “disturbo” e sottaciuto il fatto che in realtà essa, con il suo modo di essere, fare o pensare, crea “disturbo” ad altri. Si continua a parlare di “disagio”, quando ci si trova di fronte ad un “conflitto” fra modi di essere, vivere e pensare che ci appaiono inconciliabili fra loro.

Potremo dire che se l’oggetto dell’interesse della psichiatria è la “follia”, la sua cura, il suo controllo o la sua negazione: l’antipsichiatria è piuttosto interessata alla “normalità”, alla sua messa in crisi e al suo superamento.

Giuseppe Bucalo

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