L’accettazione delle cure come forma di autodifesa legale. Istruzioni per l’uso

Come già accennato, da alcuni anni i gruppi di tutela antipsichiatrica hanno sperimentato una strategia legale, elaborata dal Comitato d’Iniziativa Antipsichiatrica, che sembra dare finalmente uno strumento pratico a quanti vogliano sottrarsi al Tso e al ricovero coatto presso i reparti psichiatrici.

La strategia, come abbiamo visto, si basa sull’applicazione formale della normativa e, quindi, almeno formalmente risulta inattaccabile.

Delle tre condizioni previste dalla legge come necessarie per l’emissione del provvedimento, quella del rifiuto delle cure è l’unica su cui la vittima designata può agire confermandone l’esistenza o meno. Sta a chi è sottoposto ad accertamento sanitario o a chi si trova già ricoverato in Tso presso il reparto psichiatrico, esprimersi circa l’accettazione o meno delle cure. Da questa sua “scelta” deriva la liceità o meno del provvedimento stesso.

E’ chiaro, e lo ribadisco, che qui non si consiglia ne si invita ad accettare interventi e diagnosi che si ritengono altamente lesivi della propria identità e individualità, ma semplicemente di usare in maniera strumentale una possibilità di autotutela che può evitare di essere sottoposti ad un Tso, ovvero può permetterci di chiederne la revoca ed essere dimessi dal reparto in cui siamo stati ricoverati.

Voglio qui occuparmi in particolare dell’uso di questa strategia nei casi di ricovero in TSO (anche se, come vedremo, la stessa strategia è utile anche nel campo dei ricoveri volontari).

Innanzitutto va ribadito che come per le altre strategie di tutela, è necessario un appoggio esterno costituito da amici, familiari, associazione di tutela o, meglio ancora, di un legale affinché la nostra dichiarazione, fatta per iscritto e firmata, possa giungere oltre che al responsabile del reparto, anche al Sindaco e, se nell’ambito delle 48 ore dal ricovero o dal rinnovo dello stesso, al Giudice Tutelare.

Occorre infatti che chi ci supporta a raccolga questa volontà ad accettare le cure e inoltri la nostra autodichiarazione, seguita dalla richiesta di revoca del provvedimento di Tso e di relativa dimissione all’autorità competente del caso (il Sindaco) e a chi ha il potere di vigilanza giudiziaria (il Giudice Tutelare).

Il contenuto della dichiarazione/richiesta deve seguire un filo logico-legale che, a partire dall’accettazione delle cure argomenti il venir meno di uno dei presupposti che determinano il Tso e, quindi, avanzi la richiesta di revoca dello stesso e di dimissione dal reparto in ragione del diritto soggettivo a scegliere il luogo di cura in capo ad ogni utente volontario dei servizi sanitari. (vedi schema tipo nella sezione modelli)

Spesso ci si fa credere che l’accettazione delle cure equivalga all’accettazione del ricovero. In realtà dal punto di vista giuridico, in qualità di utente volontario io posso scegliere se e quali terapie assumere e se accettare o meno il ricovero. Certo noi sappiamo benissimo che il rifiuto delle prime o del secondo fa spesso scattare il provvedimento di Tso, ma nel momento che dichiariamo di accettarle la normativa in vigore ci dà il diritto di scegliere dove e a chi affidarci.

Per evitare che l’accettazione delle cure si trasformi in accettazione del ricovero tout court, è utile inserire nella richiesta di dimissione la dicitura “ove i sanitari ritengano indispensabile la somministrazione di tali terapie in ambiente ospedaliero, il sottoscritto si riserva di praticare le stesse presso struttura sanitaria di sua fiducia”.

Ciò spiega l’utilità della dichiarazione di accettazione delle cure anche nei casi di ricoveri volontari.

Tutti coloro che hanno avuto a che fare con i reparti psichiatrici sanno per esperienza che non esistono ricoveri volontari. Durata, modalità e terapie da praticare sono decise unilateralmente dagli operatori. Eventuali richieste di modifica o di dimissione, avanzate dall’utente contro il parere medico, o vengono ignorate ovvero fanno scattare un Tso nei confronti del ribelle.

Diventa così importante, per evitare possibili ritorsioni giuridico-psichiatriche, richiedere la dimissione dal reparto in cui si è ricoverati volontariamente, avendo cura di formalizzare una richiesta che, richiamando l’accettazione delle cure (e quindi bloccando preventivamente ogni presupposto per il Tso), affermi la volontà della persona di praticare le terapie necessarie presso strutture e sanitari di propria fiducia.

Tale dichiarazione formale consegnata al responsabile del reparto, rende illegittimo e illegale qualsiasi proposta di trattamento sanitario obbligatorio e, soprattutto, avvia una messa in mora della struttura per sequestro di persona ove non venga dato immediatamente corso alla nostra dimissione.

(Per ulteriori approfondimenti vedi lo schema-tipo di dichiarazione nella sezione modelli).

La strategia di autodifesa proposta prevede due elementi essenziali:

  1. il primo a carattere oggettivo, richiede che chi ha già subito un Tso e chi rischia di subirlo, si attrezzi per tempo contattando un legale o un gruppo di tutela, ovvero amici e/o parenti, che possano appoggiarlo nella trasmissione della dichiarazione/richiesta alle sedi competenti
  2. il secondo a carattere soggettivo, richiede che chi voglia utilizzare tale strategia assuma, almeno per tutto il periodo che permarrà in reparto prima della revoca del Tso e della dimissione, un atteggiamento conforme alla dichiarazione sottoscritta: in altre parole che accetti materialmente le cure pur se le ritiene inutili e dannose per la sua salute. Questo sacrificio momentaneo è utile ad evitare il prolungamento di terapie e interventi comunque non rifiutabili in regime di Tso, ed è indispensabile per mettere fuori legge qualsiasi tentativo di coazione da parte dei sanitari.

estratto da
Giuseppe Bucalo, Malati di Niente. Manuale minimo di sopravvivenza psichiatrica

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